Era il lontano 2010 quando venne elaborata una proposta per un codice etico/protocollo deontologico per giornalisti e operatori dell’informazione che trattano notizie concernenti cittadini con disturbo mentale e questioni legate alla salute mentale in generale. Una proposta per usare, nell’ambito dell’informazione e dei media, termini appropriati, non lesivi della dignità umana, o stigmatizzanti, o pregiudizievoli; per non interpretare il fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando il cittadino per il solo motivo che soffre di un disturbo mentale né, al contrario, attribuire le cause e/o l’eventuale efferatezza del reato al disturbo mentale; una proposta limitare l’uso improprio di termini relativi alla psichiatria in notizie che non riguardano questioni di salute mentale (per esempio: “una politica schizofrenica”, “una partita schizofrenica”) al fine di non incrementare il pregiudizio che un determinato disturbo mentale è sinonimo di incoerenza, inaffidabilità, imprevedibilità e simile.
Sono passati 7 anni e mezzo e non ne abbiamo più sentito parlare. Nel nostro piccolo, ci teniamo a rilanciare la questione pubblicando di seguito il link al documento e chiedendo a tutti la massima diffusione.
La Carta di Trieste
Decisamente più recente, invece, la petizione dell’APA (American Psychological Association) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di abolire dal gergo psichiatrico il termine “schizofrenia”, diventato ormai purtroppo sinonimo di pericolosità (associata ad inguaribilità). Traumatizzante e stigmatizzante per le persone stesse che portano questa diagnosi, private di qualsiasi speranza in quanto affette da una malattia genetica al cervello. Qui l’articolo integrale del Prof. Brian Koehler.